Cinque Terre e Val di Vara fanno parte della Lunigiana Storica, visitate le pagine delle località dal menù a comparsa. Sotto una panoramica dei principali ritrovamenti.
MEGALITISMO IN TERRA DI LUNIGIANA
Nonostante le persistenti posizioni scettiche (NEGRINO, 1998) il fenomeno del M. risulta in Lunigiana ad oggi ben documentato soprattutto nella sua componente ligure (PRIULI-PUCCI, 1994). Peraltro, risulterebbe davvero inspiegabile la presenza nella Regione di una espressione antropomorfa tanto eccezionale come quella, ben nota, delle Statue-stele in mancanza di una precedente fenomenologia di tipo aniconico. Va fatto presente che, diciassettemila anni fa, in Lunigiana, si è creato un nuovo DNA (SYKES, 2002) e tale genia è tuttora presente nel 9% della popolazione mondiale, raggruppata in Liguria, Provenza e particolarmente nell’Ovest della Gran Bretagna e nell’Irlanda. Lo stesso Bryan Sykes proviene da tale clan, che egli ha chiamato col nome femminile di Tara. In lingua celtica Tara significa “an elevated spot, an exetensive view. There are many places of this name in Ireland…”. Questa definizione richiama la frase di Strabone che scrive che “il porto è ancora circondato da una cintura di montagne elevate da cui si vedono i differenti mari, la Sardegna e una grande parte della costa a sinistra e a destra” (Strabo, Libro V). Nonostante questa strabiliante scoperta della genetica, che annovera la Lunigiana fra i sette siti ancestrali in cui si è sviluppata la popolazione europea attuale (Ursula-Grecia, 45.000; Xenia-Kazakistan, 25.000; Helena-Francia meridionale, 20.000; Velda-Pirenei, 17.000; Katrine-Croazia, 15.000; Jasmine-Anatolia, 10.000) uno degli ultimi studiosi lunigianesi (Armanini, 2015), restando nel dubbio, ha scritto: “L’esistenza di luoghi di culto nell’area costiera tra il Golfo e le Cinque Terre è stata più volte ipotizzata e smentita dagli studiosi, specialmente in relazione al menhir di Tramonti, intorno al quale aleggiano misteriose leggende che potrebbero rievocare la condanna cristiana di culti pagani, sancita dalla croce piantata nella roccia. Sembra possibile, anche se a livello ipotetico, il collegamento del menhir di Tramonti e di quelli vicini del Monte Capri e del Monte della Madonna, col megalitismo preistorico, ma non si hanno elementi che possano far pensare a forme di culto protrattesi anche in epoca protostorica e preromana (pag. 301 – Ligures Apuani). Attraverso uno studio sistemico di tutti i reperti ed elementi ad oggi segnalati, sarà possibile al lettore rendersi conto della grande ricchezza di emergenze preistoriche che, secondo il Teorema di Bayes del calcolo delle probabilità composte, consentono di affermare che la Lunigiana è non solo luogo di megalitismo, ma anche di megalitismo orientato, e, secondo gli ultimi studi, proprio come il sito di Stonehenge, che è legato al solstizio d’estate. L’archeologo inglese Terence Meaden ha infatti recentemente affermato (dicembre 2017) che Stonehenge non è soltanto un sito di archeoastronomia, ma è un sito di culto della fertilità, con la splendida affermazione che Stonehenge “is a play without words”. Questi ultimi elementi (orientamento ed eugenetica) si ritrovano nell’area megalitica di San Lorenzo al Caprione. Dalla analisi di tutti gli elementi finora segnalati, si estraggono le schede dei principali ritrovamenti:
1) Il sasso di Tramonti.
Questo riguardevole reperto è stato così denominato nel grande e prezioso libro “Lunigiana di Pietra” di Romolo Formentini. Egli scrive alla pag. 19 che questo sasso “ricorda suggestivamente i menhirs di Bretagna”, ma rimane da provare la “analogia del rapporto fra il megalitismo dell’estremo occidente europeo e quello assai ridimensionato del bacino della Magra”, così come rimane “da provare la validità del concetto di assoluta originale identità di cultura per tutto il territorio compreso fra il mare e la dorsale dell’Appennino e delle Alpi Apuane, nei limiti almeno delle Valli di Magra e di Vara, comprendendone tutti gli affluenti”. Egli scrive questo nel 1968, ma nel frattempo sono emerse numerose scoperte sia a livello generale di etnoscienze, sia a livello locale, che consentono di rispondere ai suoi quesiti. La prima scoperta appartiene ai campi elettromagnetici. L’area attorno al menhir rivela una anomalia magnetica, inoltre il prof. Roberto Chiari, petrografo dell’Università di Parma, ha rivelato, in una dispensa già in uso agli studenti della facoltà di geologia dell’Università di Parma (Chiari, 1994) che “l’attuale spinta verso Nord della zolla africana [la Lunigiana è su questa zolla, mentre la Corsica è già sulla zolla europea] è registrata nei difetti reticolari dei minerali, nei cementi delle arenarie di Riomaggiore (La Spezia), su scala di pochi micron, mentre in tutta l’area le grandi strutture sono tutte orientate Est-EstNordEst, vale a dire precedenti alla spinta attuale della zolla stessa. Le pieghe e le faglie attualmente visibili a Riomaggiore sono il traguardo finale di un campo di sforzi orientati Est-EstNordEst già esauritosi circa 1 milione d’anni fa. Le prossime pieghe e faglie con orientazione a Nord si vedranno quando le relazioni energetiche trai minerali trasferiranno l’energia che stanno attualmente accumulando”. Questo primo approfondimento di interazioni geomasse/biomasse consente immediatamente di affermare che le popolazioni che hanno eretto il menhir aniconico di Tramonti avevano le stesse capacità di percepire i luoghi energetici come le popolazioni che abitavano il territorio di Avebury (Wiltshire – Inghilterra sud-occidentale) ove si trova il cerchio di pietre più grande e più antico di quello di Stonehenge, datato a 5.000 anni fa, e studiato da Audrey Burl (Burl, 1986) che vi ha individuato le cosidette ley lines. Egli scrive, andando oltre i detrattori di quel tempo (oltre trent’anni fa) che Avebury “is one of the places …chosen because it was a centre of high magnetic energy, related to others by lines of kinetic telephaty called ‘Leys’ or ‘Dragon Paths’…”(pag. 142) e inoltre precisa che “the lines were reinterpreted as spiritual rays with the sacred places”(pag. 201). Stranamente il sito di Schiara, ove è stato eretto il “sasso”, ha una etimologia celtica, da skerry, cioè sea rocks (il luogo delle rocce di mare), come risulta “Books of Irish Names” (pag. 114). Va aggiunto che nei menhir spezzati e deposti a sorta di muro per formare ”a posàa” (il luogo ove i vignaioli che salivano il pendio con l’uva appena raccolta, potevano appoggiare la “còrba”, cioè la gerla a tronco di cono, per riposarsi la schiena)(Lena, 1992) vi erano incise le coppelle che formano la costellazione delle Pleiadi e il segno della Dea Uccello (Gimbutas, 1990). Mentre le Pleiadi sono ancora oggi visibili, la Dea Uccello è stata asportata da ignoti.
Foto N° 1 – il sasso di Tramonti tratto dal libro di Formentini (1968)
Foto n° 2 – il menhir di Tramonti in una antica foto con Ubaldo Mazzini (1922)
Foto n° 3 – la posàa di Tramonti
Foto n° 4 – immagine della Dea Uccello
Foto n° 5 – la costellazione delle Pleiadi
Foto n° 6 – schema delle coppelle che formano la costellazione delle Pleiadi.
La continuità semantica con i temi dell’archeologia europea occidentale di scuola inglese ha trovato un richiamo con la scuola archeologica francese sul tema della “continuità del sacro”. Il prof. Henry de Lumley dell’Institut de Paléontologie Humaine di Parigi ha inserito il menhir di Tramonti nella mostra a titolo “Gli spiriti della Natura. La persistenza del sacro dalla Preistoria al Medioevo”, che ha avuto come responsabile per la parte italiana il prof. Dario Seglie, direttore del CESMAP di Pinerolo, il quale ha potuto ospitare la mostra nella chiesa di Sant’Agostino della sua città. Si riporta quanto scritto a proposito del menhir di Tramonti:
“il menhir di Tramonti, scoperto nel 1922 da Ubaldo Mazzini, storico della Spezia, è alto cm 250 e spesso cm 70. Presenta evidenti segni di lavorazione e sagomatura: rastremato alla base e appuntito al vertice. Si trova in uno slargo lungo l’antica mulattiera che congiungeva l’importante monastero medioevale di San Venerio con le cosiddette “Cinque Terre”, lungo il crinale montuoso. L’intera area sembra aver subito una intensa cristianizzazione, poiché il menhir è sormontato da una croce in ferro, un tempo in legno; inoltre la località immediatamente ad Ovest ha il nome “Monte della Madonna”, dove sorge una chiesetta dedicata a S. Antonio Abate, noto fin dall’antichità per le sue attività di esorcista”. Anche se il taglio del discorso è antropologico è importante notare, al fine di togliere i dubbi della creazione della struttura da parte dei contadini (i quali pensarono di erigerlo con la funzione di “supporto ad una croce” - Negrino, 1998), che il menhir è riconosciuto come preistorico.
Un nuovo elemento che è maturato nel tempo è la convalida del valore dell’archeoastronomia, riconosciuta come sottodisciplina dell’archeologia da parte dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria. La orientatio del sito è stata descritta da molti, sia in concomitanza con il solstizio d’estate, sia con il solstizio d’inverno e ancora con la festa celtica del Sole che raggiunge gli 8° di declinazione Sud (negativa) secondo un calendario celtico dell’Età del Bronzo, che si basava su 16 divisioni dell’anno (Romano, 1992, pag. 192). Alla data dell’undici ottobre la luce del Sole che tramonta entra effettivamente all’interno di un “cavaneo”(o “casella”) costruito all’interno della muraglia che tiene la fascia. Si noti come entrambe queste denominazioni derivino da radici celtiche (cabhan e caiseal o cashel - Book of Irish names).
Circa la impressione, riportata da Romolo Formentini, che il menhir di Tramonti “ricordi suggestivamente i menhirs di Bretagna” occorre segnalare che la scoperta della struttura complessa di Monte Grosso, rinvenuta a ridosso del Sentiero N° 1 delle Cinque Terre (oggi Alta Via delle Cinque Terre) appartiene all’antico culto della nascita della vita che avvicina il megalitismo delle Cinque Terre alla preistoria della Francia. Il punto forte di questo ritrovamento è l’uovo e il tema richiama la statuetta di Lespugne (Mentone – Francia) del 23.000 a.C. e la rappresentazione della Dea Doppia del Paleolitico Superiore della Dordogna (25.000 a.C.).
2) La struttura complessa di Monte Grosso (dolmen e pietra a uovo)
Questa struttura è formata da un dolmen da copulazione, più piccolo dei grandi dolmen da sepolture multiple, la cui bisettrice è rivolta a Sud, al di sopra del quale vi è il grande uovo tagliato a metà in direzione Nord-Sud. La prima informazione di questo ritrovamento, datato al 1993, è avvenuta in un articolo pubblicato nel Bollettino dell’Osservatorio Astronomico di Genova del Giugno 1994 (Calzolari, 1994). In questo caso l’oggetto dello studio era relativo al valore astronomico rilevato nelle due sezioni del complesso (linea shamanica Nord-Sud dell’uovo e linea meridiana della bisettrice del dolmen). Successivamente, l’approfondimento della semantica dell’uovo, nel senso già illustrato da Marija Gimbutas (Gimbutas, 1990) è avvenuto nella pubblicazione a titolo “Megaliti di crinale nelle Cinque Terre” (Calzolari, 2015). Oltre che da Gimbutas la potenza espressiva di statuette come quella di Lespugne è stata descritta da Peg Streep (Streep, 1994) che così si esprime: “incarna la fecondità, in una forma assai diversa: la voluta stilizzazione a forma di uovo dei suoi seni e delle sue natiche dimostra chiaramente che essa è un artefatto simbolico che incorpora un concetto sacro...una visione di <intensificata fertilità>…”. Quanto sopra dimostra come le intuizioni dei primi studiosi di Lunigiana di fronte ai megaliti della costa penetravano conoscenze oggi meglio spiegabili con le nuove scoperte.
Foto n° 7 – la tavola del dolmen di Monte Grosso con i due ortostati
Foto n° 8 – la pietra a uovo spezzata a metà con la tecnica dei due cunei
Foto n° 9 – la pietra a uovo spezzata a metà e il tetto del dolmen
Foto n° 10 – la statuetta di Lespugne con l’esaltazione della forma a uovo (23.000 a.C.)
A rinforzare ancora di più, nelle Cinque Terre, l’evidenza di un megalitismo improntato al sacro e all’archeoastronomia, stanno i ritrovamenti della grande “ara” con coppella centrale e della vicina “aretta” con coppella. Entrambi questi reperti giacciono sul crinale, a pochi passi dal grande segnale di allineamento della “base misurata” per il calcolo della velocità delle nuove navi prodotte nei cantieri del golfo (oggi, con l’elettronica, questo metodo è divenuto obsoleto). A poca distanza dall’ara, cercando a raso nel terreno, si troverà una bassa pietra con coppella, posizionata proprio nella direzione del Sole che tramonta al Solstizio d’estate, rispetto al punto focale costituito dalla coppella della grande ara. Ancora la orientatio depone per l’antichità dei reperti. Per capire meglio la posizione di questi ultimi occorre immaginare quando, per il clima freddo, non vi erano alberi e quindi dall’ara si potevano fare sacrifici indirizzati al sorgere del Sole dietro le Apuane e al tramonto del Sole in direzione del Monte di Portofino e delle Alpi. Avanzando nel sentiero, si potrà trovare, nel versante mare del mammellone di Monte Grosso, la struttura complessa “dolmen-pietra a uovo”. Si noti geologicamente come il grande masso dell’ara non risulti affondato nel terreno, bensì sia stato trasportato da lontano. La prova geologica di ciò si è avuta nel tentativo recente, fatto da ignoti, di sollevare la grande pietra, che ora non è più in posizione orizzontale, ma risulta leggermente inclinata. Per il timore che qualcuno potesse farla scivolare in basso, facendo quindi annullare la possibilità di osservare gli azimuth del sorgere e del tramonto, è stata fatta una segnalazione al Ministero dei Beni Culturali. Ne è nata una richiesta, inviata alla Soprintendenza genovese di effettuare un controllo sul sito. Ciò è avvenuto da parte di due funzionarie della stessa Soprintendenza, accompagnate sul posto con un fuoristrada, dopo aver chiesto autorizzazione al transito sulla strada sterrata al Comune di Riccò del Golfo, avendo il Comune di Riomaggiore rifiutata la competenza territoriale sul reperto.
Foto n° 11 – l’ara di Monte Grosso in posizione originale
Foto n° 12 – altra immagine dell’ara con neve
Foto n° 13 – l’ara di Monte Grosso inclinata rispetto all’assetto originale
Foto n° 14 – l’aretta di Monte Grosso
3) La portata semantica dell’orientatio a Sud dei dolmen da copulazione di Monte Grosso e di Codina.
Oltre al dolmen di Monte Grosso si ha nel promontorio del Caprione, ultimo lembo della Liguria di Levante, propriamente in territorio di Lerici, il dolmen di Codina, anch’esso con la bisettrice orientata a Sud (178°). La prima segnalazione di questo dolmen è avvenuta durante il 5° Annual Meeting European Association of Archaelogists, Bournemouth University, U.K., 14-18 Settembre 1999. Ad avvalorare questo manufatto è stato il ritrovamento, all’interno, di quindici selci esaminate all’Università di Parma, di varia provenienza, fra cui, la più lontana, viene dai Monti Lessini. Questo ritrovamento, seppur superficiale, formatosi per il trascinamento delle acque provenienti da una grande caverna soprastante, distrutta durante la costruzione della strada militare di Monte Rocchetta, dovrebbe far riaprire gli studi sulla preistoria della Riviera di levante, che, secondo Roberto Maggi (Maggi, 1982), “appare decisamente povera”. L’orientamento a Sud della porta della tenda degli shamani della Mongolia (la gheer) è stato segnalato dal concittadino Davide Bellatalla, membro della Accademia delle Scienze della Mongolia e docente di antropologia all’Università di Perth (Australia) (Bellatalla, 1996). Egli ha raccontato, nelle conferenze tenute nella nostra provincia - quando rientrava dalla Mongolia e doveva trasferirsi in Australia - che uno shamano gli aveva spiegato che l’energia viene da Sud, e che pertanto è bene sedersi in questa direzione per esserne vivificati. Questa puntuale descrizione corrisponde a quanto codificato dal C.N.R., secondo il seguente schema:
a) la massa liquida di ferro-nichel che esiste al centro della Terra gira più veloce del mantello, comportandosi come una grande dinamo che produce miliardi ampère;
b) l’energia prodotta si riversa nel Polo Sud;
c) da qui esce in tutta la superficie della Terra e raggiunge il Polo Nord;
d) nella Terra vi sono molti punti disposti come gli aculei del riccio di mare, in cui esce questa energia direttamente dal centro della Terra, energia che viene rilevata dai satelliti militari che ruotano ad una altezza di 400 chilometri dalla superficie terrestre;
e) uno di questi punti è il Castello di Coderone, presso Biassa. Ciò è stato rivelato durante il convegno “Percorsi percettivi nelle Terre del Monferrato”, avvenuto in uno dei luoghi dove sono più evidenti le mutazioni delle linee isocinetiche, desunti dalle livellazioni dell’I.G.M. (Chiari, 1998)
f) esiste quindi una correlazione fra il sentire degli shamani e le scoperte scientifiche del C.N.R..
Foto n° 15 – il dolmen di Codina (Lerici) con la bisettrice orientata a Sud
Foto n° 16 – alcune delle selci ritrovate all’interno
Foto n° 17 – tre delle selci trovate all’interno
Foto n° 18 – panorama da Codina
Foto n° 19 – il castello di Coderone
4) Il grande menhir di Monte Capri
Costituisce uno degli elementi più evidenti del fenomeno del megalitismo nelle Cinque Terre, in quanto è assai vicino all’Alta Via, ad una quota di circa 700 metri. Priuli e Pucci lo considerano il più grande menhir rinvenuto in Liguria (Priuli, 1994), essendo lungo quasi quattro metri e avendo uno spessore di circa ottanta centimetri. Risulta lavorato per ottenere una base a bulbo e una punta rastremata, nella quale è stata incisa una piccola croce, fenomeno evidente di cristianizzazione. Viceversa il Negrino scrive che “in realtà il grande blocco sembra giacere in continuità con la roccia di base…la superficie del masso ovaleggiante appare in perfetta aderenza al sottostante affioramento d’arenaria…potrebbe trattarsi infatti di un grosso nodulo di arenaria emerso per erosione differenziata”. Da questa analisi, pubblicata in un libro sponsorizzato dalla Soprintendenza, si dovrebbe dedurre che gli uomini della preistoria abbiano tentato di ottenere un grande menhir dalla roccia madre, ma che il loro tentativo non sia riuscito perché il grande megalite si è spezzato a metà. Questo processo di lavorazione, iniziato e non portato a termine, costituisce in ogni caso una prova della volontà degli antichi abitatori di erigere un menhir in un sito dotato di intensi campi elettromagnetici (Chiari, 1994) e costituisce comunque una notevole testimonianza del modo di operare degli antichi abitatori. È sostanzialmente una prova di operatività tecnologica, inquadrabile nella storia della scienza. Per poter dimostrare scientificamente la deduzione negativa che è stata offerta agli archeologi, sarebbe però necessario che venissero fornite analisi di microchimica sulle componenti della struttura del pseudo-menhir. Infatti il tema delle concrezioni sub-sferoidali in rocce sedimentarie è molto complesso, anche per gli esperti specializzati nel settore. Queste concrezioni sono legate al seppellimento di sostanze organiche da parte di fanghi altamente sigillanti. Sono state, generalmente, isole di ammoniaca che hanno attirato involucri di carbonati e altri complessi acido-ossidanti. Soltanto dopo le suddette analisi si potrebbe accettare l’esito negativo pronunciato dal Negrino come un avanzamento sicuro nella conoscenza della storia del nostro territorio, che non sembra affatto confacente alle suddette deduzioni.
Foto n° 20 – Monte Capri - il masso in fase di lavorazione, spezzato a metà.
Foto n° 21 – Monte Capri – la lavorazione del puntale del masso
5) La meridiana di Monte Capri.
Essendo il Monte Capri (etimologia osco-umbra da kapr, il capro espiatorio) l’altura più elevata della costiera delle Cinque Terre (metri 785 s.l.m.), è logico attendersi una grande visibilità sull’arcipelago toscano. Alla sommità vi si trova una struttura formata di tre grandi massi, posizionata in modo tale che nel vano interno formato dai due massi appaiati, si possa osservare, nelle giornate più chiare, la silhouette dell’isola Capraia, posizionata in direzione Sud. Si noti come la longitudine di Monte Capri sia di 09° 44’ Est e la longitudine della massima elevazione dell’isola sia 09° 49’ Est, con una differenza di appena 5’ su una distanza di 105 miglia marine, corrispondenti a chilometri 195. La segnalazione di questa scoperta, di rilevante valore archeoastronomico, è avvenuta nel Bollettino dell’Osservatorio di Genova (Calzolari, 1994). Oggi, con l’imponente crescita della vegetazione non solo non è più possibile osservare la silhouette della isola di Capraia, ma tutta la struttura è coperta dalla vegetazione, così come altri emergenze megalitiche osservate sul monte.
Foto n° 22 – La meridiana di Monte Capri
Foto n° 23 - un mirino formato da massi sulle pendici di Monte Capri
Foto n° 24 – un muraglia megalitica sul crinale di Monte Capri
6) L’area megalitica di San Lorenzo al Caprione.
La scoperta dell’area megalitica di San Lorenzo al Caprione è dovuta a una fortunata serie di serendipità, legata a una delle tre macine a remo emerse nel promontorio. Essendo stata spostata con una ruspa, per fare una strada forestale abusiva che passava presso i ruderi della Cappella di San Lorenzo (XIII secolo), gli ambientalisti di Lerici hanno cercato dove potesse essere stata imboscata, e così, nel 1996, è emersa una struttura megalitica, un tetralite formato da due ortostati, una pietra a forma di losanga in alto e in basso una pietra trasversa, che più tardi, si è scoperto che servisse a formare la parte bassa della farfalla dorata. Dapprima si è scoperto che il tetralite fosse orientato al tramonto del Sole al solstizio d’estate, quindi , al tramonto del solstizio d’estate si è scoperto che, dopo le ore 20, la luce del Sole penetrava il tetralite e formava una farfalla di luce dorata su una pietra fallica posta davanti all’apertura del trilite, come fosse uno schermo per proiettare diapositive. La scoperta è stata osteggiata da molti, sia dai residenti della borgata, sia dagli studiosi, perché decisamente inedita. Nel congresso a tema “Un dibattito tra Archeologi e Astronomi”, durante la sessione genovese (8-9 febbraio 2002) il prof. Tiziani Mannoni (†) precisò che non si potevano accreditare scoperte che apparivano per la prima volta e di cui non se conoscevano eguali in letteratura. Successivamente alla scoperta del Caprione si effettuò la scoperta di un trilite con ortostati e losanga trasversale superiore nel Lozère (Massiccio Centrale di Francia), proprio nel punto geodetico della rete francese, ove era stata posizionata una postazione di radar della Force de Frappe voluta dal generale De Gaulle. Ancora successivamente un analogo trilite veniva scoperto in Corsica, in Niolu, sotto il Monte Cinto. Nell’area megalitica di San Lorenzo sono emersi anche i seguenti reperti:
a) una stele spezzata a metà, che, se issata, avrebbe marcato il primo punto di arrivo della luce solare all’equinozio;
b) un grosso menhir che segna il puntio di massima elongazione del Sole al 21 giugno;
c) una esedra come punto di partenza di un percorso sacro verso il tetralite ove si forma la farfalla dorata;
d) una pietra altare;
e) un inghiottitoio, ora chiuso, formato da una roccia avvolgente;
f) una pietra che viene ritenuta idonea per partorire.
Questa scoperta è stata mostrata in molti convegni nazionali e internazionali, ma finora non se ne è riscontrata nessuna di eguale.
Foto n° 25 – la struttura del tetralite vista da Est
Foto n° 26 – la struttura del tetralite vista da Ovest
Foto n° 27 – la luce del Sole al tramonto penetra il tetralite
Foto n° 28 – la farfalla dorata
Foto n° 29 – la folla che si assiepa per assistere alla formazione del fenomeno.
Nel promontorio sono stati scoperti altri siti megalitici in corso di approfondimento (Canaa Granda – Cattafossi – Scornia – Combara).
7) Il grande menhir della Selva di Filetto
I detrattori degli studi di megalitismo non hanno mai voluto accreditare questo grande reperto, perché è stato trovato abbattuto ed è stato rialzato, per cui è stato ritenuto un falso. L’esito della cristianizzazione in Lunigiana ha lasciato molte tracce, perché ancora nel XVII secolo si è avuta la cristianizzazione del Sentiero n° 118 CAI di Lunigiana, importante per la presenza delle due pietre a forma di losanga appaiate, una rappresentante la Dea Madre Vergine (senza coppella centrale) e l’altra rappresentante la Dea Madre Gravida (con coppella centrale) (Gimbutas, 1990) simbologia presente anche nei mosaici fatti fare da Padre Pio nella chiesa seconda di San Giovanni Rotondo. Va detto che alla sommità di questo sentiero è stato rinvenuto anche il petroglifo eguale a quello di Vijaianagar (India centrale), prossimo al kapala yantra, il petroglifo che indica il metodo per il calcolo della latitudine di un luogo, ideato in India. Il processo di cristianizzazione purtroppo continua, e di quest’ultimo reperto non se ne vede più traccia, perché divelto con una ruspa (territorio di del Comune di Bagnone). Come se in senso storico ciò non bastasse, ad accreditare la validità del grande menhir della Selva di Filetto, sito in cui peraltro sono emerse diverse statue-stele, rimane la sequenza numerica di nove fori posti in linea retta, in una delle facce del grande menhir. Il numero nove è emerso anche in una grande pietra posta in prossimità del Tecchio dei Merli (Monte Losanna), formato come una semi-svastica, cioè sette fori lineari con altri due alle estremità, posti ortogonalmente in senso inverso. Recentemente i numeri 1- 3 - 6 - 36 sono stati trovati dal geometra Daniele Guaianuzzi nelle incisioni di Costa di Bramapane (la Spezia).
Foto n° 30 – il grande menhir della Selva di Filetto
Foto n° 31 – ingrandimento che permette di riconoscere i nove fori
Foto n° 32 – le due losanghe appaiate del Sentiero 118 CAI
Foto n° 33 – schema dei fori della grande pietra del Tecchio dei Merli
Foto n° 34 – indicazione di dove si rinviene la semi svastica di Tecchio dei Merli
Foto n° 35– incisione di Costa di Bramapane con il modulo 1 - 3 – 6 (foto di Daniele Guaianuzzi)
Foto n° 36 – incisione di Costa di Bramapane con il modulo 36 (foto di Daniele Guaianuzzi)
Una recente attività di scoperta di reperti preistorici nella Valle della Magra, legati al culto della fertilità, è avvenuta da parte del ricercatore Rino Barbieri, che li ha pubblicati nel libro “Lunigiana: la Terra del Sole – sei mesi d’incredibili scoperte nella preistoria della Lunigiana” (Barbieri, 2010).
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Nonostante le persistenti posizioni scettiche (NEGRINO, 1998) il fenomeno del M. risulta in Lunigiana ad oggi ben documentato soprattutto nella sua componente ligure (PRIULI-PUCCI, 1994). Peraltro, risulterebbe davvero inspiegabile la presenza nella Regione di una espressione antropomorfa tanto eccezionale come quella, ben nota, delle Statue-stele in mancanza di una precedente fenomenologia di tipo aniconico. Va fatto presente che, diciassettemila anni fa, in Lunigiana, si è creato un nuovo DNA (SYKES, 2002) e tale genia è tuttora presente nel 9% della popolazione mondiale, raggruppata in Liguria, Provenza e particolarmente nell’Ovest della Gran Bretagna e nell’Irlanda. Lo stesso Bryan Sykes proviene da tale clan, che egli ha chiamato col nome femminile di Tara. In lingua celtica Tara significa “an elevated spot, an exetensive view. There are many places of this name in Ireland…”. Questa definizione richiama la frase di Strabone che scrive che “il porto è ancora circondato da una cintura di montagne elevate da cui si vedono i differenti mari, la Sardegna e una grande parte della costa a sinistra e a destra” (Strabo, Libro V). Nonostante questa strabiliante scoperta della genetica, che annovera la Lunigiana fra i sette siti ancestrali in cui si è sviluppata la popolazione europea attuale (Ursula-Grecia, 45.000; Xenia-Kazakistan, 25.000; Helena-Francia meridionale, 20.000; Velda-Pirenei, 17.000; Katrine-Croazia, 15.000; Jasmine-Anatolia, 10.000) uno degli ultimi studiosi lunigianesi (Armanini, 2015), restando nel dubbio, ha scritto: “L’esistenza di luoghi di culto nell’area costiera tra il Golfo e le Cinque Terre è stata più volte ipotizzata e smentita dagli studiosi, specialmente in relazione al menhir di Tramonti, intorno al quale aleggiano misteriose leggende che potrebbero rievocare la condanna cristiana di culti pagani, sancita dalla croce piantata nella roccia. Sembra possibile, anche se a livello ipotetico, il collegamento del menhir di Tramonti e di quelli vicini del Monte Capri e del Monte della Madonna, col megalitismo preistorico, ma non si hanno elementi che possano far pensare a forme di culto protrattesi anche in epoca protostorica e preromana (pag. 301 – Ligures Apuani). Attraverso uno studio sistemico di tutti i reperti ed elementi ad oggi segnalati, sarà possibile al lettore rendersi conto della grande ricchezza di emergenze preistoriche che, secondo il Teorema di Bayes del calcolo delle probabilità composte, consentono di affermare che la Lunigiana è non solo luogo di megalitismo, ma anche di megalitismo orientato, e, secondo gli ultimi studi, proprio come il sito di Stonehenge, che è legato al solstizio d’estate. L’archeologo inglese Terence Meaden ha infatti recentemente affermato (dicembre 2017) che Stonehenge non è soltanto un sito di archeoastronomia, ma è un sito di culto della fertilità, con la splendida affermazione che Stonehenge “is a play without words”. Questi ultimi elementi (orientamento ed eugenetica) si ritrovano nell’area megalitica di San Lorenzo al Caprione. Dalla analisi di tutti gli elementi finora segnalati, si estraggono le schede dei principali ritrovamenti:
1) Il sasso di Tramonti.
Questo riguardevole reperto è stato così denominato nel grande e prezioso libro “Lunigiana di Pietra” di Romolo Formentini. Egli scrive alla pag. 19 che questo sasso “ricorda suggestivamente i menhirs di Bretagna”, ma rimane da provare la “analogia del rapporto fra il megalitismo dell’estremo occidente europeo e quello assai ridimensionato del bacino della Magra”, così come rimane “da provare la validità del concetto di assoluta originale identità di cultura per tutto il territorio compreso fra il mare e la dorsale dell’Appennino e delle Alpi Apuane, nei limiti almeno delle Valli di Magra e di Vara, comprendendone tutti gli affluenti”. Egli scrive questo nel 1968, ma nel frattempo sono emerse numerose scoperte sia a livello generale di etnoscienze, sia a livello locale, che consentono di rispondere ai suoi quesiti. La prima scoperta appartiene ai campi elettromagnetici. L’area attorno al menhir rivela una anomalia magnetica, inoltre il prof. Roberto Chiari, petrografo dell’Università di Parma, ha rivelato, in una dispensa già in uso agli studenti della facoltà di geologia dell’Università di Parma (Chiari, 1994) che “l’attuale spinta verso Nord della zolla africana [la Lunigiana è su questa zolla, mentre la Corsica è già sulla zolla europea] è registrata nei difetti reticolari dei minerali, nei cementi delle arenarie di Riomaggiore (La Spezia), su scala di pochi micron, mentre in tutta l’area le grandi strutture sono tutte orientate Est-EstNordEst, vale a dire precedenti alla spinta attuale della zolla stessa. Le pieghe e le faglie attualmente visibili a Riomaggiore sono il traguardo finale di un campo di sforzi orientati Est-EstNordEst già esauritosi circa 1 milione d’anni fa. Le prossime pieghe e faglie con orientazione a Nord si vedranno quando le relazioni energetiche trai minerali trasferiranno l’energia che stanno attualmente accumulando”. Questo primo approfondimento di interazioni geomasse/biomasse consente immediatamente di affermare che le popolazioni che hanno eretto il menhir aniconico di Tramonti avevano le stesse capacità di percepire i luoghi energetici come le popolazioni che abitavano il territorio di Avebury (Wiltshire – Inghilterra sud-occidentale) ove si trova il cerchio di pietre più grande e più antico di quello di Stonehenge, datato a 5.000 anni fa, e studiato da Audrey Burl (Burl, 1986) che vi ha individuato le cosidette ley lines. Egli scrive, andando oltre i detrattori di quel tempo (oltre trent’anni fa) che Avebury “is one of the places …chosen because it was a centre of high magnetic energy, related to others by lines of kinetic telephaty called ‘Leys’ or ‘Dragon Paths’…”(pag. 142) e inoltre precisa che “the lines were reinterpreted as spiritual rays with the sacred places”(pag. 201). Stranamente il sito di Schiara, ove è stato eretto il “sasso”, ha una etimologia celtica, da skerry, cioè sea rocks (il luogo delle rocce di mare), come risulta “Books of Irish Names” (pag. 114). Va aggiunto che nei menhir spezzati e deposti a sorta di muro per formare ”a posàa” (il luogo ove i vignaioli che salivano il pendio con l’uva appena raccolta, potevano appoggiare la “còrba”, cioè la gerla a tronco di cono, per riposarsi la schiena)(Lena, 1992) vi erano incise le coppelle che formano la costellazione delle Pleiadi e il segno della Dea Uccello (Gimbutas, 1990). Mentre le Pleiadi sono ancora oggi visibili, la Dea Uccello è stata asportata da ignoti.
Foto N° 1 – il sasso di Tramonti tratto dal libro di Formentini (1968)
Foto n° 2 – il menhir di Tramonti in una antica foto con Ubaldo Mazzini (1922)
Foto n° 3 – la posàa di Tramonti
Foto n° 4 – immagine della Dea Uccello
Foto n° 5 – la costellazione delle Pleiadi
Foto n° 6 – schema delle coppelle che formano la costellazione delle Pleiadi.
La continuità semantica con i temi dell’archeologia europea occidentale di scuola inglese ha trovato un richiamo con la scuola archeologica francese sul tema della “continuità del sacro”. Il prof. Henry de Lumley dell’Institut de Paléontologie Humaine di Parigi ha inserito il menhir di Tramonti nella mostra a titolo “Gli spiriti della Natura. La persistenza del sacro dalla Preistoria al Medioevo”, che ha avuto come responsabile per la parte italiana il prof. Dario Seglie, direttore del CESMAP di Pinerolo, il quale ha potuto ospitare la mostra nella chiesa di Sant’Agostino della sua città. Si riporta quanto scritto a proposito del menhir di Tramonti:
“il menhir di Tramonti, scoperto nel 1922 da Ubaldo Mazzini, storico della Spezia, è alto cm 250 e spesso cm 70. Presenta evidenti segni di lavorazione e sagomatura: rastremato alla base e appuntito al vertice. Si trova in uno slargo lungo l’antica mulattiera che congiungeva l’importante monastero medioevale di San Venerio con le cosiddette “Cinque Terre”, lungo il crinale montuoso. L’intera area sembra aver subito una intensa cristianizzazione, poiché il menhir è sormontato da una croce in ferro, un tempo in legno; inoltre la località immediatamente ad Ovest ha il nome “Monte della Madonna”, dove sorge una chiesetta dedicata a S. Antonio Abate, noto fin dall’antichità per le sue attività di esorcista”. Anche se il taglio del discorso è antropologico è importante notare, al fine di togliere i dubbi della creazione della struttura da parte dei contadini (i quali pensarono di erigerlo con la funzione di “supporto ad una croce” - Negrino, 1998), che il menhir è riconosciuto come preistorico.
Un nuovo elemento che è maturato nel tempo è la convalida del valore dell’archeoastronomia, riconosciuta come sottodisciplina dell’archeologia da parte dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria. La orientatio del sito è stata descritta da molti, sia in concomitanza con il solstizio d’estate, sia con il solstizio d’inverno e ancora con la festa celtica del Sole che raggiunge gli 8° di declinazione Sud (negativa) secondo un calendario celtico dell’Età del Bronzo, che si basava su 16 divisioni dell’anno (Romano, 1992, pag. 192). Alla data dell’undici ottobre la luce del Sole che tramonta entra effettivamente all’interno di un “cavaneo”(o “casella”) costruito all’interno della muraglia che tiene la fascia. Si noti come entrambe queste denominazioni derivino da radici celtiche (cabhan e caiseal o cashel - Book of Irish names).
Circa la impressione, riportata da Romolo Formentini, che il menhir di Tramonti “ricordi suggestivamente i menhirs di Bretagna” occorre segnalare che la scoperta della struttura complessa di Monte Grosso, rinvenuta a ridosso del Sentiero N° 1 delle Cinque Terre (oggi Alta Via delle Cinque Terre) appartiene all’antico culto della nascita della vita che avvicina il megalitismo delle Cinque Terre alla preistoria della Francia. Il punto forte di questo ritrovamento è l’uovo e il tema richiama la statuetta di Lespugne (Mentone – Francia) del 23.000 a.C. e la rappresentazione della Dea Doppia del Paleolitico Superiore della Dordogna (25.000 a.C.).
2) La struttura complessa di Monte Grosso (dolmen e pietra a uovo)
Questa struttura è formata da un dolmen da copulazione, più piccolo dei grandi dolmen da sepolture multiple, la cui bisettrice è rivolta a Sud, al di sopra del quale vi è il grande uovo tagliato a metà in direzione Nord-Sud. La prima informazione di questo ritrovamento, datato al 1993, è avvenuta in un articolo pubblicato nel Bollettino dell’Osservatorio Astronomico di Genova del Giugno 1994 (Calzolari, 1994). In questo caso l’oggetto dello studio era relativo al valore astronomico rilevato nelle due sezioni del complesso (linea shamanica Nord-Sud dell’uovo e linea meridiana della bisettrice del dolmen). Successivamente, l’approfondimento della semantica dell’uovo, nel senso già illustrato da Marija Gimbutas (Gimbutas, 1990) è avvenuto nella pubblicazione a titolo “Megaliti di crinale nelle Cinque Terre” (Calzolari, 2015). Oltre che da Gimbutas la potenza espressiva di statuette come quella di Lespugne è stata descritta da Peg Streep (Streep, 1994) che così si esprime: “incarna la fecondità, in una forma assai diversa: la voluta stilizzazione a forma di uovo dei suoi seni e delle sue natiche dimostra chiaramente che essa è un artefatto simbolico che incorpora un concetto sacro...una visione di <intensificata fertilità>…”. Quanto sopra dimostra come le intuizioni dei primi studiosi di Lunigiana di fronte ai megaliti della costa penetravano conoscenze oggi meglio spiegabili con le nuove scoperte.
Foto n° 7 – la tavola del dolmen di Monte Grosso con i due ortostati
Foto n° 8 – la pietra a uovo spezzata a metà con la tecnica dei due cunei
Foto n° 9 – la pietra a uovo spezzata a metà e il tetto del dolmen
Foto n° 10 – la statuetta di Lespugne con l’esaltazione della forma a uovo (23.000 a.C.)
A rinforzare ancora di più, nelle Cinque Terre, l’evidenza di un megalitismo improntato al sacro e all’archeoastronomia, stanno i ritrovamenti della grande “ara” con coppella centrale e della vicina “aretta” con coppella. Entrambi questi reperti giacciono sul crinale, a pochi passi dal grande segnale di allineamento della “base misurata” per il calcolo della velocità delle nuove navi prodotte nei cantieri del golfo (oggi, con l’elettronica, questo metodo è divenuto obsoleto). A poca distanza dall’ara, cercando a raso nel terreno, si troverà una bassa pietra con coppella, posizionata proprio nella direzione del Sole che tramonta al Solstizio d’estate, rispetto al punto focale costituito dalla coppella della grande ara. Ancora la orientatio depone per l’antichità dei reperti. Per capire meglio la posizione di questi ultimi occorre immaginare quando, per il clima freddo, non vi erano alberi e quindi dall’ara si potevano fare sacrifici indirizzati al sorgere del Sole dietro le Apuane e al tramonto del Sole in direzione del Monte di Portofino e delle Alpi. Avanzando nel sentiero, si potrà trovare, nel versante mare del mammellone di Monte Grosso, la struttura complessa “dolmen-pietra a uovo”. Si noti geologicamente come il grande masso dell’ara non risulti affondato nel terreno, bensì sia stato trasportato da lontano. La prova geologica di ciò si è avuta nel tentativo recente, fatto da ignoti, di sollevare la grande pietra, che ora non è più in posizione orizzontale, ma risulta leggermente inclinata. Per il timore che qualcuno potesse farla scivolare in basso, facendo quindi annullare la possibilità di osservare gli azimuth del sorgere e del tramonto, è stata fatta una segnalazione al Ministero dei Beni Culturali. Ne è nata una richiesta, inviata alla Soprintendenza genovese di effettuare un controllo sul sito. Ciò è avvenuto da parte di due funzionarie della stessa Soprintendenza, accompagnate sul posto con un fuoristrada, dopo aver chiesto autorizzazione al transito sulla strada sterrata al Comune di Riccò del Golfo, avendo il Comune di Riomaggiore rifiutata la competenza territoriale sul reperto.
Foto n° 11 – l’ara di Monte Grosso in posizione originale
Foto n° 12 – altra immagine dell’ara con neve
Foto n° 13 – l’ara di Monte Grosso inclinata rispetto all’assetto originale
Foto n° 14 – l’aretta di Monte Grosso
3) La portata semantica dell’orientatio a Sud dei dolmen da copulazione di Monte Grosso e di Codina.
Oltre al dolmen di Monte Grosso si ha nel promontorio del Caprione, ultimo lembo della Liguria di Levante, propriamente in territorio di Lerici, il dolmen di Codina, anch’esso con la bisettrice orientata a Sud (178°). La prima segnalazione di questo dolmen è avvenuta durante il 5° Annual Meeting European Association of Archaelogists, Bournemouth University, U.K., 14-18 Settembre 1999. Ad avvalorare questo manufatto è stato il ritrovamento, all’interno, di quindici selci esaminate all’Università di Parma, di varia provenienza, fra cui, la più lontana, viene dai Monti Lessini. Questo ritrovamento, seppur superficiale, formatosi per il trascinamento delle acque provenienti da una grande caverna soprastante, distrutta durante la costruzione della strada militare di Monte Rocchetta, dovrebbe far riaprire gli studi sulla preistoria della Riviera di levante, che, secondo Roberto Maggi (Maggi, 1982), “appare decisamente povera”. L’orientamento a Sud della porta della tenda degli shamani della Mongolia (la gheer) è stato segnalato dal concittadino Davide Bellatalla, membro della Accademia delle Scienze della Mongolia e docente di antropologia all’Università di Perth (Australia) (Bellatalla, 1996). Egli ha raccontato, nelle conferenze tenute nella nostra provincia - quando rientrava dalla Mongolia e doveva trasferirsi in Australia - che uno shamano gli aveva spiegato che l’energia viene da Sud, e che pertanto è bene sedersi in questa direzione per esserne vivificati. Questa puntuale descrizione corrisponde a quanto codificato dal C.N.R., secondo il seguente schema:
a) la massa liquida di ferro-nichel che esiste al centro della Terra gira più veloce del mantello, comportandosi come una grande dinamo che produce miliardi ampère;
b) l’energia prodotta si riversa nel Polo Sud;
c) da qui esce in tutta la superficie della Terra e raggiunge il Polo Nord;
d) nella Terra vi sono molti punti disposti come gli aculei del riccio di mare, in cui esce questa energia direttamente dal centro della Terra, energia che viene rilevata dai satelliti militari che ruotano ad una altezza di 400 chilometri dalla superficie terrestre;
e) uno di questi punti è il Castello di Coderone, presso Biassa. Ciò è stato rivelato durante il convegno “Percorsi percettivi nelle Terre del Monferrato”, avvenuto in uno dei luoghi dove sono più evidenti le mutazioni delle linee isocinetiche, desunti dalle livellazioni dell’I.G.M. (Chiari, 1998)
f) esiste quindi una correlazione fra il sentire degli shamani e le scoperte scientifiche del C.N.R..
Foto n° 15 – il dolmen di Codina (Lerici) con la bisettrice orientata a Sud
Foto n° 16 – alcune delle selci ritrovate all’interno
Foto n° 17 – tre delle selci trovate all’interno
Foto n° 18 – panorama da Codina
Foto n° 19 – il castello di Coderone
4) Il grande menhir di Monte Capri
Costituisce uno degli elementi più evidenti del fenomeno del megalitismo nelle Cinque Terre, in quanto è assai vicino all’Alta Via, ad una quota di circa 700 metri. Priuli e Pucci lo considerano il più grande menhir rinvenuto in Liguria (Priuli, 1994), essendo lungo quasi quattro metri e avendo uno spessore di circa ottanta centimetri. Risulta lavorato per ottenere una base a bulbo e una punta rastremata, nella quale è stata incisa una piccola croce, fenomeno evidente di cristianizzazione. Viceversa il Negrino scrive che “in realtà il grande blocco sembra giacere in continuità con la roccia di base…la superficie del masso ovaleggiante appare in perfetta aderenza al sottostante affioramento d’arenaria…potrebbe trattarsi infatti di un grosso nodulo di arenaria emerso per erosione differenziata”. Da questa analisi, pubblicata in un libro sponsorizzato dalla Soprintendenza, si dovrebbe dedurre che gli uomini della preistoria abbiano tentato di ottenere un grande menhir dalla roccia madre, ma che il loro tentativo non sia riuscito perché il grande megalite si è spezzato a metà. Questo processo di lavorazione, iniziato e non portato a termine, costituisce in ogni caso una prova della volontà degli antichi abitatori di erigere un menhir in un sito dotato di intensi campi elettromagnetici (Chiari, 1994) e costituisce comunque una notevole testimonianza del modo di operare degli antichi abitatori. È sostanzialmente una prova di operatività tecnologica, inquadrabile nella storia della scienza. Per poter dimostrare scientificamente la deduzione negativa che è stata offerta agli archeologi, sarebbe però necessario che venissero fornite analisi di microchimica sulle componenti della struttura del pseudo-menhir. Infatti il tema delle concrezioni sub-sferoidali in rocce sedimentarie è molto complesso, anche per gli esperti specializzati nel settore. Queste concrezioni sono legate al seppellimento di sostanze organiche da parte di fanghi altamente sigillanti. Sono state, generalmente, isole di ammoniaca che hanno attirato involucri di carbonati e altri complessi acido-ossidanti. Soltanto dopo le suddette analisi si potrebbe accettare l’esito negativo pronunciato dal Negrino come un avanzamento sicuro nella conoscenza della storia del nostro territorio, che non sembra affatto confacente alle suddette deduzioni.
Foto n° 20 – Monte Capri - il masso in fase di lavorazione, spezzato a metà.
Foto n° 21 – Monte Capri – la lavorazione del puntale del masso
5) La meridiana di Monte Capri.
Essendo il Monte Capri (etimologia osco-umbra da kapr, il capro espiatorio) l’altura più elevata della costiera delle Cinque Terre (metri 785 s.l.m.), è logico attendersi una grande visibilità sull’arcipelago toscano. Alla sommità vi si trova una struttura formata di tre grandi massi, posizionata in modo tale che nel vano interno formato dai due massi appaiati, si possa osservare, nelle giornate più chiare, la silhouette dell’isola Capraia, posizionata in direzione Sud. Si noti come la longitudine di Monte Capri sia di 09° 44’ Est e la longitudine della massima elevazione dell’isola sia 09° 49’ Est, con una differenza di appena 5’ su una distanza di 105 miglia marine, corrispondenti a chilometri 195. La segnalazione di questa scoperta, di rilevante valore archeoastronomico, è avvenuta nel Bollettino dell’Osservatorio di Genova (Calzolari, 1994). Oggi, con l’imponente crescita della vegetazione non solo non è più possibile osservare la silhouette della isola di Capraia, ma tutta la struttura è coperta dalla vegetazione, così come altri emergenze megalitiche osservate sul monte.
Foto n° 22 – La meridiana di Monte Capri
Foto n° 23 - un mirino formato da massi sulle pendici di Monte Capri
Foto n° 24 – un muraglia megalitica sul crinale di Monte Capri
6) L’area megalitica di San Lorenzo al Caprione.
La scoperta dell’area megalitica di San Lorenzo al Caprione è dovuta a una fortunata serie di serendipità, legata a una delle tre macine a remo emerse nel promontorio. Essendo stata spostata con una ruspa, per fare una strada forestale abusiva che passava presso i ruderi della Cappella di San Lorenzo (XIII secolo), gli ambientalisti di Lerici hanno cercato dove potesse essere stata imboscata, e così, nel 1996, è emersa una struttura megalitica, un tetralite formato da due ortostati, una pietra a forma di losanga in alto e in basso una pietra trasversa, che più tardi, si è scoperto che servisse a formare la parte bassa della farfalla dorata. Dapprima si è scoperto che il tetralite fosse orientato al tramonto del Sole al solstizio d’estate, quindi , al tramonto del solstizio d’estate si è scoperto che, dopo le ore 20, la luce del Sole penetrava il tetralite e formava una farfalla di luce dorata su una pietra fallica posta davanti all’apertura del trilite, come fosse uno schermo per proiettare diapositive. La scoperta è stata osteggiata da molti, sia dai residenti della borgata, sia dagli studiosi, perché decisamente inedita. Nel congresso a tema “Un dibattito tra Archeologi e Astronomi”, durante la sessione genovese (8-9 febbraio 2002) il prof. Tiziani Mannoni (†) precisò che non si potevano accreditare scoperte che apparivano per la prima volta e di cui non se conoscevano eguali in letteratura. Successivamente alla scoperta del Caprione si effettuò la scoperta di un trilite con ortostati e losanga trasversale superiore nel Lozère (Massiccio Centrale di Francia), proprio nel punto geodetico della rete francese, ove era stata posizionata una postazione di radar della Force de Frappe voluta dal generale De Gaulle. Ancora successivamente un analogo trilite veniva scoperto in Corsica, in Niolu, sotto il Monte Cinto. Nell’area megalitica di San Lorenzo sono emersi anche i seguenti reperti:
a) una stele spezzata a metà, che, se issata, avrebbe marcato il primo punto di arrivo della luce solare all’equinozio;
b) un grosso menhir che segna il puntio di massima elongazione del Sole al 21 giugno;
c) una esedra come punto di partenza di un percorso sacro verso il tetralite ove si forma la farfalla dorata;
d) una pietra altare;
e) un inghiottitoio, ora chiuso, formato da una roccia avvolgente;
f) una pietra che viene ritenuta idonea per partorire.
Questa scoperta è stata mostrata in molti convegni nazionali e internazionali, ma finora non se ne è riscontrata nessuna di eguale.
Foto n° 25 – la struttura del tetralite vista da Est
Foto n° 26 – la struttura del tetralite vista da Ovest
Foto n° 27 – la luce del Sole al tramonto penetra il tetralite
Foto n° 28 – la farfalla dorata
Foto n° 29 – la folla che si assiepa per assistere alla formazione del fenomeno.
Nel promontorio sono stati scoperti altri siti megalitici in corso di approfondimento (Canaa Granda – Cattafossi – Scornia – Combara).
7) Il grande menhir della Selva di Filetto
I detrattori degli studi di megalitismo non hanno mai voluto accreditare questo grande reperto, perché è stato trovato abbattuto ed è stato rialzato, per cui è stato ritenuto un falso. L’esito della cristianizzazione in Lunigiana ha lasciato molte tracce, perché ancora nel XVII secolo si è avuta la cristianizzazione del Sentiero n° 118 CAI di Lunigiana, importante per la presenza delle due pietre a forma di losanga appaiate, una rappresentante la Dea Madre Vergine (senza coppella centrale) e l’altra rappresentante la Dea Madre Gravida (con coppella centrale) (Gimbutas, 1990) simbologia presente anche nei mosaici fatti fare da Padre Pio nella chiesa seconda di San Giovanni Rotondo. Va detto che alla sommità di questo sentiero è stato rinvenuto anche il petroglifo eguale a quello di Vijaianagar (India centrale), prossimo al kapala yantra, il petroglifo che indica il metodo per il calcolo della latitudine di un luogo, ideato in India. Il processo di cristianizzazione purtroppo continua, e di quest’ultimo reperto non se ne vede più traccia, perché divelto con una ruspa (territorio di del Comune di Bagnone). Come se in senso storico ciò non bastasse, ad accreditare la validità del grande menhir della Selva di Filetto, sito in cui peraltro sono emerse diverse statue-stele, rimane la sequenza numerica di nove fori posti in linea retta, in una delle facce del grande menhir. Il numero nove è emerso anche in una grande pietra posta in prossimità del Tecchio dei Merli (Monte Losanna), formato come una semi-svastica, cioè sette fori lineari con altri due alle estremità, posti ortogonalmente in senso inverso. Recentemente i numeri 1- 3 - 6 - 36 sono stati trovati dal geometra Daniele Guaianuzzi nelle incisioni di Costa di Bramapane (la Spezia).
Foto n° 30 – il grande menhir della Selva di Filetto
Foto n° 31 – ingrandimento che permette di riconoscere i nove fori
Foto n° 32 – le due losanghe appaiate del Sentiero 118 CAI
Foto n° 33 – schema dei fori della grande pietra del Tecchio dei Merli
Foto n° 34 – indicazione di dove si rinviene la semi svastica di Tecchio dei Merli
Foto n° 35– incisione di Costa di Bramapane con il modulo 1 - 3 – 6 (foto di Daniele Guaianuzzi)
Foto n° 36 – incisione di Costa di Bramapane con il modulo 36 (foto di Daniele Guaianuzzi)
Una recente attività di scoperta di reperti preistorici nella Valle della Magra, legati al culto della fertilità, è avvenuta da parte del ricercatore Rino Barbieri, che li ha pubblicati nel libro “Lunigiana: la Terra del Sole – sei mesi d’incredibili scoperte nella preistoria della Lunigiana” (Barbieri, 2010).
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